
Uno dei muscoli più nominati in ambito medico e della salute. Molti ne conosco l’esistenza ma pochi la sua reale potenzialità. Ma conoscete il significato del suo nome?
Il termine “psòas” s. m. [der. del gr. ψόα] viene tradotto proprio come «muscolo lombare» (1): esso riveste un ruolo fondamentale nel mantenimento della statica e dinamica dell’essere umano. Rappresenta un elemento nodale nell’espressione e funzione del sistema tonico posturale (STP). Esso, grazie alle sue inserzioni ossee e collegamenti fasciali, viene a rappresentare un mezzo di connessione tra sistemi ascendenti e discendenti.
E’, infatti, molto più che un “semplice muscolo” e, in una visione posturologica d’insieme, rappresenta un prezioso strumento di valutazione di eventuali “interferenze” sulla funzione multi-recettoriale del sistema corpo.
È un gruppo muscolare (costituito dai fasci psoas maggiore, minore e iliaco) situato profondamente nella regione toraco-addominale e pelvica. Origina dai processi trasversi e corpi di L1/L5, dalla fibrocartilagine e dischi da T12 a L5 e da una serie di archi tendinei di derivazione diaframmatica (immagine 1).
Discende in maniera trasversale rispetto alla colonna, inserendosi sul piccolo trocantere del femore insieme al tendine del m. iliaco. Le inserzioni prossimali e distali, su colonna e bacino, sono potenzialmente in grado di modificare la posizione vertebrale, influire sulle curve rachidee e sulla lunghezza funzionale degli arti inferiori. In tal senso, quindi, l’ileo-psoas può condizionare in maniera rilevante anche la dinamica e la capacità di radicamento qualora la sua lunghezza “a riposo” risulti modificata (-L0– lunghezza grazie alla quale il sarcomero, l’unità funzionale e strutturale del muscolo, in contrazione, può sviluppare il massimo della forza). La sua posizione profonda, tra torace e cavità addominale, inoltre, rappresenta un “link” fasciale ed energetico, grazie anche alla sua relazione con il m. diaframma e, quindi, con il plesso solare.
Spesso siamo portati a pensare che una delle esclusive funzioni delle strutture mio-fasciali, organizzate in catene mio-fasciali, sia quella di sostenere il corpo quando, in realtà, è la colonna vertebrale l’elemento essenziale che conferisce sostegno e che permette una giusta distribuzione del carico gravitario e delle forze che incidono continuamente sul sistema.
La morfologia della colonna vertebrale e delle sue curve, d’altronde, rappresenta un esempio perfetto di alternanza di forma, tra spirali concave e convesse.
E’ proprio la sinergia tra struttura, forma ed equilibrio della muscolo-traenza a rappresentare il “terreno” di base che permette alla muscolatura dell’ileo-psoas di esprimere al meglio le sue caratteristiche di dinamismo e reattività. Il muscolo ileo-psoas, grazie alla sua disposizione spaziale può essere relazionato con più di una regione corporea: con il torace, la regione addominale e pelvica. Questa relazione di contiguità con suddette regioni, fa sì che il buon funzionamento del muscolo ileo-psoas, la sua motricità, mobilità e motilità possano influenzare la salute globale del sistema.
L’ileo-psoas offre passaggio a numerose strutture nervose e vascolari, suscettibili di influenzare il drenaggio venoso, la trasmissione nervosa e l’apporto nutritizio alla regione addominale e pelvica. Esso viene definito una sorta di “binario” mio-fasciale sul quale il rene mantiene la sua mobilità durante il ciclo respiratorio diaframmatico.
Tramite i collegamenti fasciali con gli organi annessi all’apparato uro-genitale, esso può influenzare ed essere influenzato a sua volta da disfunzioni ovariche o di altri organi pelvici.
Ma è proprio l’analisi della sua funzione posturale e “cibernetica” che ci permette di interpretarne il ruolo anche da un punto di vista “simbolico”. E’ definito, infatti, il “muscolo dell’anima” in quanto rappresenta un punto di collegamento tra arto inferiore, tronco, terra e cielo. Una struttura la cui efficienza ci permette di sfruttare la nostra capacità di radicamento e ancoraggio al suolo ai fini dell’espressione della capacità torsionale di tronco, arti superiori e inferiori su una base solida: il bacino. Un vero e proprio punto di intersezione e passaggio in cui l’energia pelvica scorre verso l’alto.
Che intendiamo per “energia”? Alexander Lowen (2), psicologo e psichiatra statunitense, padre della bioenergetica, ci dimostra come l’energia, esprima la “vitalità” di un sistema vivente, espressa nei processi di espansione e retrazione.
Secondo Lowen, infatti, struttura caratteriale, stress, traumi e tensioni sono interconnessi tra loro. Egli osservò come la personalità del soggetto, nel tempo, sia in grado di accumulare, produrre tensioni muscolari che impediscono il fluire energetico.
La fisiologia muscolare rappresenta un ottimo strumento di “validazione” delle teorie e terapia di Lowen: ogni situazione di tensione e contrazione muscolare richiede, un aumento dell’apporto di O2, al fine di soddisfare l’incremento della richiesta energetica e una conseguente deossigenazione dell’emoglobina, l’emoproteina essenziale al trasporto dell’ossigeno molecolare nel nostro organismo (3).
Se ci riflettiamo, perciò, il nostro stato psicologico, non solo si “cristallizza” somaticamente (creando una vera e propria “fissazione” dell’emozione nel corpo), modellando delle vere e proprie “strutture posturali”, specchio della nostra “struttura caratteriale” ma è in grado di modificare anche la nostra biochimica e metabolismo, continuamente.
E’ naturale che sia così, perché il nostro organismo risponde prontamente agli stimoli esterni e/o interni: principale obiettivo è, infatti, mantenere l’omeostasi.
E poiché la tensione muscolare crea una diminuzione di apporto di ossigeno, attraverso una diminuita perfusione generale e locale, un soggetto che presenti uno stato globale di “rigidità”, con dei tessuti densi, scarsamente mobili, in risposta a uno stato psicologico, ambientale e/o emozionale, perderà parte della sua vitalità fino a modificare, spesso, anche la sua personalità: corpo e mente si influenzano a vicenda.
Possiamo affermare che: “le tensioni del corpo rappresentano stress nella coscienza, una determinata scelta crea tensione e può creare un sintomo” (4).
La reazione di paura e lo psoas.
Ma perché il muscolo psoas è considerato un bersaglio di somatizzazioni emozionali?
Dobbiamo tornare indietro nel tempo… Rifacendoci semplicemente ai meccanismi istintivi che hanno sempre caratterizzato l’essere vivente e l’uomo nella sua filogenesi e ontogenesi. E per farlo, dobbiamo apprendere il ruolo affascinante di una delle emozioni che siamo in grado di sentire: la paura di cadere (5).
Questa emozione è istintiva e non legata all’esperienza. Essa causa un sussulto (definita “startle” in inglese) che rappresenta la risposta motoria dell’engramma “fuga” rispetto a uno stimolo pericoloso per l’essere vivente. Dopo la terza settimana di vita del neonato, i rumori forti non solo possono provocare paura ma, attraverso l’udito, dare origine al cosiddetto “riflesso di Moro” (apparato uditivo e dell’equilibrio si trovano entrambi all’interno dell’orecchio interno).
Tale riflesso, presente nel neonato, è considerato una risposta di difesa e tentativo di protezione. Esso provoca un’estensione degli arti superiori e inferiori alla quale segue una chiusura, un avvolgimento in posizione fetale (istintivamente egli si prepara a proteggersi).
Inizialmente, cioè, nel bambino si attiva la risposta “startle” nel tentativo di aggrapparsi alla madre. Se il sostegno non è assicurato, la risposta secondaria è quella di “avvolgimento”, chiusura del corpo che, in via protettiva, prepara il bambino a una eventuale caduta o alla immobilità. La fase di attivazione dei muscoli estensori è propedeutica alla reazione di eventuale “fuga” che può non avvenire, però, qualora la scelta venga indirizzata verso la difesa; in questo caso, il sistema centrale dà origine a un pattern di impulsi che giungono ai muscoli flessori, dando origine a una risposta motoria che si esprime con “chiusura” o immobilità.
Ed è qui la parte che, a mio vedere, si fa molto più interessante. L’immobilità o “tanatosi” dal punto di vista etologico, rappresenta la scelta simulativa di un “corpo esamine”, simulando la morte: l’animale finge di essere morto, come ultima risorsa. Con tale atteggiamento la preda scoraggia il predatore: molti animali infatti non mangiano cadaveri per timore di una tossicità. Questa reazione di “paralisi”, può rappresentare un’opzione di sopravvivenza utilissima.
Nella fase di “difesa”, le catene mio-fasciali di flessione di arti superiori, inferiori e, soprattutto, il complesso muscolare dello psoas si attivano, portando il corpo ad assumere la posizione fetale.
Ogni emozione che attivi un circuito neurofisiologico e che comporti una reazione somatica, creerà una produzione di sostanze comunicazionali ad azione sistemica. Allo stesso modo, il link somatico-emozionale tra muscolatura flessoria (psoas e sinergici) e la reazione di paura potrà generare nel breve periodo e nel lungo periodo l’attivazione di circuiti chemio-biologici con produzione di ormoni, una sorta di “biologia della paura” (6) (immagine 2).
Durante la reazione di paura l’amigdala (piccolissima ghiandola annessa al sistema subcorticale) invia impulsi elettrici all’ipotalamo, il quale genererà una cascata di ormoni: adrenalina e cortisolo. L’adrenalina, per l’appunto, è l’ormone “specifico” delle reazioni di attacco o fuga.
Questa sostanza agirà sul sistema, predisponendo l’intero organismo a un’attivazione generale e alla modifica dei parametri neurofisiologici, psicologici e immunitari, ai fini della sopravvivenza.
Le situazioni che suscitano in noi l’emozione paura, seppur non associate a circostanze realmente pericolose, sono in grado di attivare i medesimi circuiti neuro-endocrini che rispondono a un pattern neurofisiologico legato all’istinto: l’emozione, in questo caso, è in grado di creare uno stato di “tensione di base” con effetti cronici sul sistema nervoso e sul corpo. Per questo motivo, quindi, la salute del muscolo psoas può rappresentare uno strumento preventivo degli eventuali effetti che, la sfere emozionale del soggetto, può generare sull’organismo in maniera acuta o, addirittura, cronica.
Il gruppo muscolare dello psoas rappresenta un “carrefour”, una struttura dove gli aspetti corticali, subcorticali, energetici, psicologici e istintivi si incrociano.
Il mantenimento della mobilità, fluidità, forza e dinamismo di questo complesso mio-fasciale rappresenta uno strumento prezioso di prevenzione di tutte le strutture e funzioni che si intersecano a questo livello.
Il lavoro sul corpo è essenziale e ha una valenza immediata e diretta sulla psiche. Attraverso la stimolazione del sistema neuro-endocrino e l’accesso alla memoria tissutale, esso è in grado di produrre effetti terapeutici sistemici: studi sul dolore neuropatico (7) dimostrano come, infatti, in determinate condizioni disfunzionali che coinvolgano il sistema neuro-fasciale, è possibile l’attivazione di una “memoria” tissutale locale.
Il riequilibrio del muscolo psoas permette, di conseguenza, il libero fluire dell’energia vitale dell’organismo, predisponendolo a una migliore resilienza e all’efficienza dei meccanismi di “vis medicatrix naturae”: il corpo possiede la capacità di agire autonomamente verso una “autoguarigione”, se noi poniamo le basi per la ‘ricerca della salute e non della malattia’.
REFERENZE
1 – https://www.treccani.it/vocabolario/psoas/
2- Alexander Lowen – Il linguaggio del corpo, 2011, Feltrinelli;
3- Rossella Panigatti – I sintomi parlano, 2003, TEA edizioni;
4- Hisashi Takakura et altri – Quantification of myoglobin deoxygenation and intracellular partial pressure of O2 during muscle contraction during haemoglobin-free medium perfusion, April 2010;
5- Liz Koch – Il libro dello psoas, Somatica Edizioni, 2013;
6- Judith Orloff – Detox emozionale, Mylife Edizioni, 2020;
7- Nickel, F.T., Seifert, F., Lanz, S., Maiho ̈fner, C., Feb 2012. Mechanisms of neuropathic pain. Eur.
8- Neuropsychopharmacol. 22 (2), 81e91. Epub 2011 Jun 14.